Lucidi tristi e sballati sereni

Arealpain

Era un giorno di sole nel mio Giro della Memoria, e mi sono seduto su una panchina di legno in un bel parco. Vicino a me c’era un cestino dell’immondizia e tutto intorno al cestino e alla panchina era pieno di cartacce seminate, gomme masticate e mozziconi, le solite reliquie poco civili. Nel cestino c’era una siringa. Non di quelle da insulina o da farmaci, sembrava proprio una siringa da eroina. Era l’unica cosa sul fondo del cestino. Ho sorriso per il pensiero che mi ha sfiorato: tra tutti coloro che erano passati di lì, il solo con un po’ di senso civico era quello che si faceva.


Sballare al Nova

La BBC sta documentando una ricerca israeliana molto originale. Torniamo indietro nel tempo al Nova Festival: 7 ottobre 2023, circa 3500 persone, la musica dance, l’attacco dei terroristi di Hamas, 360 morti, violenze, decine di rapiti. Ricordiamolo: le vittime sono giovani civili. Nei mesi successivi, molti dei sopravvissuti si sono tolti la vita. Molti dei sopravvissuti sono finiti in cura per comprensibili disturbi da stress post-traumatico, circa 650. Michal Ohana, scampato al Nova, dice:

«Mi sveglio con il pensiero del Nova. Vado a dormire con il Nova nella testa. Passato più di un anno, molti pensano che dovremmo tornare alla vita. Io non ci riesco».

Ed eccoci al dato interessante per la ricerca in corso: diversi tra i sopravvissuti, circa due terzi, nei loro racconti hanno ammesso di aver fatto uso di droghe sintetiche nei momenti che precedevano l’attacco di Hamas, e in particolare hanno dichiarato di aver assunto MDMA (quella che negli anni ‘90 chiamavano ecstasy) e il classico LSD.

Chi sta portando avanti la ricerca, ossia la Haifa University, si ritrova a studiare per la prima volta un evento unico: un pesantissimo trauma collettivo affrontato da persone piuttosto omogenee per età e provenienza, parte delle quali ha assunto eccitanti sintetici.

È scientificamente provato che un tipo di droga psicotropa come l’MDMA induce “plasticità” nel cervello durante il trauma, e atteggiamenti positivi in seguito. I neuroscienziati hanno iniziato a condividere i risultati, e dai primi riscontri pare che chi era sotto l’effetto di MDMA, durante l’attacco terroristico, abbia avuto una protezione psicologica mediamente più forte rispetto al campione di persone che non avevano eccitanti in circolo.

Nella bozza di ricerca si legge che uno degli ormoni più coinvolti nell’azione dell’MDMA, l’ossitocina, ha indotto condivisione e senso di comunità nei momenti dell’orrore, e maggiore apertura a ricevere amore e sostegno in seguito, nelle settimane successive. Alcuni sopravvissuti sono fermamente convinti che se non fossero stati sballati dalla droga non avrebbero potuto reagire, e si sarebbero bloccati, pietrificati, come è accaduto ad altri.

Leggo queste notizie con empatia, sapendo di vivere in mondi lontani e diversi. Non ho mai frequentato raduni dance o techno, non ho mai fatto uso di droghe perché non trovo divertente perdere il controllo in quel modo. Ma comprendo bene che una parziale perdita di controllo, là dove il trauma arriva, salva. O contribuisce alla salvezza.

Seguiremo la ricerca anche in futuro, in particolare per i risultati attesi dalla dottoressa Anna Harwood-Gross, del Metiv Psychotrauma Centre in Israele. La domanda che si stanno facendo i ricercatori come lei è semplice da formulare e ben difficile da rispondere: i risultati sono replicabili? L’MDMA provoca danni seri al corpo umano, ma affrontare un trauma e le sue conseguenze sotto l’effetto di quella sostanza può migliorare le cose?

Noi che facciamo memoria formuliamo la domanda in modo differente: davanti al trauma della storia, meglio lucidi ma feriti in profondità o sballati e più reattivi?


Lucidità alle estreme conseguenze

Ripenso ai testimoni della Shoah e a come hanno dovuto sopravvivere. Non solo sopravvivere al lager, là dove non c’erano metodi o trucchi, ma sopravvivere anche a loro stessi, dopo. A come fossero diversi i tempi e la sensibilità in quegli anni nei quali la gente se la cavava anzitutto con le proprie forze. C’era un’Europa da ricostruire e ognuno dopo la guerra ricostruiva come poteva, e come riusciva. A volte riprendendo i legami, ma spesso per i sopravvissuti i legami non esistevano più, erano sfumati nei campi. A volte riprendendo le abitudini, ma perfino quelle erano finite irrimediabilmente. Oggi davanti a un trauma disponiamo di una vasta tavolozza di strumenti d’aiuto, ma i sopravvissuti alla Shoah cos’avevano?

Il silenzio. A volte la vergogna. L’angoscia di aver vissuto qualcosa di talmente grande da non riuscire a raccontarla. La sensazione di non avere parole adeguate. La frustrazione che tutto intorno vincesse l’indifferenza di chi, uscito dalla guerra, non ne voleva più sentir parlare. La mentalità della ricostruzione in Italia era quella della consapevolezza. Tirando dritto si potevano affrontare le cose, anche quelle più gravi e devastanti come un conflitto mondiale.

L’ancora di salvezza per molti sopravvissuti non è stata lo sballo ma la vita stessa che in qualche modo doveva andare avanti. Distogliere lo sguardo dalla propria storia significava provare a sopravvivere, aggiungere tempo ai giorni. Perché fronteggiare esplicitamente il buio della propria storia non fa mai bene.

Chi ha affrontato subito il male e ha provato a raccontare l’inesprimibile, lo ha fatto spesso perché possedeva strumenti culturali adeguati, e prendendosi il rischio delle conseguenze. È un caso che Primo Levi fosse un chimico? Ossia che provenisse da un ambito di studi dove la lucidità e il rigore permeano tutto? È un caso che proprio Levi dovette fare i conti con le estreme conseguenze della sua lucidità?


Che male che fa

Ho visto A real pain, il film di Jesse Eisenberg. Due cugini ebrei, cresciuti insieme e poi divisi dalle rispettive vite, viaggiano dagli USA in Polonia alla ricerca delle tracce lasciate dalla nonna di entrambi, sopravvissuta alla Shoah e salva per mille miracoli consecutivi. Tornano nella terra da cui proviene la propria famiglia in due modi completamente diversi.

David, che è interpretato dallo stesso regista Eisenberg, è schematico e lucido. È un manager nel settore dei banner pubblicitari. La memoria per lui è una questione di testa, di persone da incasellare, di storie da allineare. Benji, a cui dà corpo Kieran Culkin (premiato con l’Oscar quest’anno) è lo sballato simpatico e problematico, il fannullone che odi e ami, a cui ti affezioni. Per lui la memoria è una questione di cuore, di trasporto, di emozione.

Sono due modi opposti di rielaborare il passato, che un po’ per volta escono dagli stereotipi e cominciano a mescolarsi. E la mescolanza genera confusione, presa di coscienza, affetto, in una compagnia sgangherata e simpatica di persone che, come i due protagonisti, sono alla ricerca di qualcosa. Condivisione, forse. E poi David perde lucidità a favore del cuore. E Benji perde sballo a favore della consapevolezza.

Sono in fondo la stessa persona, quei due, lo stesso individuo posto di fronte al passato e di fronte a se stesso. Siamo noi. Con la stessa paura di farci i conti, pur affrontando la memoria da due sponde inizialmente lontane.

Lucidi tristi o sballati sereni? Ci fa stare meglio la testa oppure il cuore? Sono domande a cui ciascuno risponde a modo proprio. Come collettività, come comunità, ce lo domandiamo da tempo. Anche di fronte alla realtà e alla cronaca. Ci vuole lucidità e conseguenti pensieri pesanti, ma un certo grado di leggerezza aiuta a spostare lo sguardo più lontano dal Trump di turno e dalle sue violenze. Arte e scienza, insieme. A continuare a vivere alla faccia di questi gangster miliardari, di tutti i Putin assassini che, anche in Italia, cercano di passare dalla parte della ragione.


Una piazza per l’Europa

Aderisco e invito ad aderire a Una piazza per l’Europa, a Roma il prossimo 15 marzo. Perché anche oggi c’è un’Europa a cui volere bene e in parte da ricostruire. Perché l’ha ideata Michele Serra e ci stanno dentro tanti gruppi diversi. Per essere lucidi e insieme rasserenati. Perché l’Europa è il frutto più bello della Memoria. E se siamo Memoria, noi siamo Europa.