Bassi, ritorna in classe

© illustrazione di Sonia Cucculelli per Solo una parola (Rizzoli).
Nel luglio del 2018 stavo scarpinando su un sentiero tra le dolomiti in Trentino, intorno a me si apriva un panorama di cime rocciose e prati verdi, e non ero ancora in quota quando ricevetti una telefonata da Rizzoli Ragazzi: l’editore voleva pubblicare un libro legato al documentario 1938 – Diversi, con la regia di Giorgio Treves e prodotto da Tangram Film, che sarebbe uscito quell’autunno. L’idea era di raccontare le stesse cose su carta: le leggi razziste italiane, gli ebrei sotto il fascismo, l’inizio delle deportazioni. C’erano tante testimonianze, tra le altre quelle di Liliana Segre e di Aldo Zargani, i contributi di Roberto Herlitzka e di Stefania Rocca, gli inquadramenti storici di Pezzetti, Picciotto, Sarfatti, Luzzatto…
Visionai un pre-montaggio, andai alla prima in un cinema di Milano, incontrai Carolina Levi, che era co-produttrice, e proposi un ribaltamento di prospettiva. Il libro non doveva essere sulla storia delle cosiddette “leggi razziali” ma sul loro meccanismo. Per spiegare l’antisemitismo ai ragazzi italiani che non hanno mai incontrato un ebreo in vita loro, e sono tanti, decisi di togliere la parola ebreo e pensai di sostituirla con la parola occhialuto. Ciò che gli ebrei avevano vissuto sotto il fascismo sarebbe stato trasfigurato in una vicenda del tutto identica ma nella quale chi porta gli occhiali subisce la stessa oppressione e il medesimo razzismo.
È una metafora che dall’uscita del libro viene usata qui e là, nelle scuole e nei musei, e anche dalle guide del Memoriale della Shoah di Milano. E ne sono davvero felice.
Nel documentario c’erano alcuni brevi cortometraggi animati a partire dai disegni di Sonia Cucculelli, e la stessa illustratrice fu scelta per il libro. Il romanzo per ragazzi venne pubblicato nel gennaio successivo e s’intitola Solo una parola. L’incipit dice così:
Roberto ha nove anni, Roberto ha nove amici, Roberto ha nove biglie nel cassetto del comodino, Roberto ha nove libri e li tiene in ordine dal più grande al più piccolo, Roberto ha nove vestiti tra estate e inverno, Roberto a scuola è il nono che chiamano all’appello. Roberto vive a Venezia da quando è nato, e di automobili nella sua lunga vita ne ha viste pochissime, forse nove in tutto, mentre non ricorda un giorno senza almeno una barca.
Il coraggio di Roberto, le lentiggini di Lucia
Il protagonista del mio libro si chiamava Roberto perché fra tutti gli ebrei intervistati nel docufilm ce n’era uno che mi aveva colpito più di altri: Roberto Bassi, veneziano, espulso da scuola per le leggi fasciste a nove anni (ecco il perché di tutti quei 9 nell’incipit) e diventato tempo dopo un eccezionale dermatologo. Era la storia giusta da raccontare, e in più era ambientata a Venezia, la città dove ho studiato, a cui sono tanto affezionato, dove ho abitato per quattro anni quando i Radiohead erano in classifica. Diceva Roberto nel documentario:
La maestra ci raccontò che esistevano razze diverse. Poi prese il registro, chiamò il mio nome e disse: «Bassi, esci dalla classe». Mi ritrovai nel grande cortile assolato della scuola, da solo, e scoppiai a piangere.
Di lui mi avevano colpito la mitezza ferma e la voce profonda. Il coraggio. La grande dignità che rimaneva sopra ogni cosa, sopra ogni evento, anche il più doloroso. Volevo che nel libro uscisse anche un accenno della sua storia di ricercatore, ma come fai a inserire elementi di dermatologia in un romanzo per ragazzi? Così il Roberto della storia, occhialuto, che non è il Roberto vero, s’innamora di una ragazza che si chiama Lucia. Lei ha un anno in più e il viso ricoperto di dolcissime lentiggini, per le quali il mio Roberto perde la testa e sogna di unirle come i puntini dei giochi sui giornali, e di formare parole d’amore.
Roberto Bassi ci ha lasciati serenamente sabato scorso, circondato dal bene che ha donato in vita, il suo ricordo sia di benedizione. Lo ricorda teneramente Gadi Luzzatto Voghera su Moked, raccontando della sua importanza per la nascita del CDEC, Centro di documentazione ebraica contemporanea, e come vicepresidente dell’Unione delle comunità israelitiche italiane. Roberto avrebbe compiuto 94 anni a settembre. Riposa da ieri nel cimitero ebraico del Lido di Venezia: se passate di là, non dimenticate di entrare per salutarlo.
Le parole addosso
Ecco, le parole. Solo una parola è un libro di parole sull’importanza delle parole, e sul razzismo che comincia, sempre e in qualsiasi stagione dell’umanità, con le parole. Prima di metterti le mani addosso, i razzisti ti mettono le parole addosso. Anche con Roberto Bassi andò così: la prima ferita arrivò dalle parole, dalla maestra che lo indica, dalla diversità di Roberto che di colpo non è più un valore ma una mancanza.
Sono solo parole, sia ieri che oggi, ma dalle parole nasce tutto. Nascono bellezza e violenza. Difficilmente c’è violenza razzista senza parole che la precedono, senza un’onda di parole violente che la sostiene.
Hai voglia a dire che il free speech non influenzò Hitler. Free speech nell’accezione contemporanea dei sovranisti non si traduce con libertà di parola ma con dico quello che mi pare, e voi muti: sono due cose ben differenti. Hitler nacque anzitutto con le parole, non con la loro libertà. L’antisemitismo di oggi nasce con le parole. Il razzismo di oggi nasce con le parole.
La cura per le parole non è una faccenda per spensierati, per impallinati del woke, per gente interessata a un’inezia mentre “i problemi sono altri”. le parole sono parte rilevante dei problemi di oggi. La cura delle parole è umanità, è progresso. Significa costruire legami e condivisione. Dimenticarsene in nome del potere, dell’indifferenza, della visibilità, significa degradarsi in umanità. Guardate in faccia questi adoratori del free speech: nel migliore dei casi sono dei cavernicoli mentali. Sarebbero stati vecchi in qualsiasi epoca della storia. Smascheriamoli, anzitutto a parole.
Parole (e montini) di Purim
Questa sera comincia Purim. Arriva la festa. È tempo dei montini da gustare e soprattutto da regalare, e se volete farli c’è la ricetta perfetta, come sempre, nel sito dell’amica Benedetta Jasmine Guetta (Labna) oppure nel suo libro Cooking alla Giudia, che è un piacere da sfogliare in tutti i sensi. Purim è una festa che ricorda un pericolo scampato, che ricorda una salvezza ottenuta grazie alla regina Ester. E alle sue parole.
Ester è una che chiede. Ester dialoga. Ester annuncia. Ester interviene. Ester parla. E la salvezza non arriva dalla guerra, dallo scontro, dalla fuga, ma dalle parole sagge, da parole giuste al momento giusto. Di una donna. Ieri come oggi, le parole ci salvano. A chi è ebreo e a chi non lo è, resta solo da augurare Purim Sameach!