Le coincidenze della valigia

Nella tasca interna dello zaino c’erano due pellicole da cinepresa. Appallottolati nella parte più ampia erano sistemati un sacco a pelo e una bottiglia d’acqua, un’aspirina, compresse di vitamina C, un paio di coltelli. Una volta sviluppate, le pellicole stabilirono una certezza su tutte: lo zaino apparteneva a Guillermo Vieiro.
Vieiro era un eccezionale scalatore argentino, el domador del Aconcagua. Alla fine di gennaio del 1985 raggiunse la vetta del Vulcano Tupungato (6570 metri) insieme all’amico Leonardo Rabal, aprendo una nuova via sul versante orientale. Entrambi persero la vita durante la discesa, i loro corpi furono ritrovati un mese dopo.
L’anno scorso, una spedizione ha individuato uno zaino sul fianco del vulcano, al confine tra Cile e Argentina, ma è riuscita a riportare a valle solo una cinepresa e una piccozza. Sono state le figlie di Vieiro, Azul a Guadalupe, a recuperare lo zaino alla fine della stagione invernale: dentro, gli oggetti del padre per la sua ultima ascesa. In italiano, la notizia è raccontata da Montagna.tv. Parlando del ritrovamento, Azul Vieiro ci illumina:
«Spiritualmente, mi è sembrato un saluto. Come dire: sono ancora qui, esisto».
Di fronte allo zaino di Vieiro, non riusciamo a pronunciare le parole che solitamente si dicono di fronte agli scomparsi: non c’è più. Perché in fondo un po’ di quell’alpinista c’è ancora. E in quello zaino la sua vita, non nella forma che vorremmo ma comunque in una forma sensata, continua a essere.
È una storia semplice, che chi frequenta le montagne avrà già sentito mille volte con mille nomi e mille oggetti differenti. E tra zaini e valigie il passo è brevissimo.
Il mistero di un padre
Quando diedero il premio Nobel a Orhan Pamuk, lui scrisse un discorso che in italiano s’intitola La valigia di mio padre. A mio parere è la cosa più bella che ho letto di Pamuk. Nel discorso, Pamuk parla di suo padre e di una valigia misteriosa, piena di appunti, idee, racconti. Suo padre scriveva, ma non poteva permettersi di fare lo scrittore: lasciò nella valigia i suoi sogni. Pamuk in qualche modo riceve la sua eredità tardiva: diventa scrittore anche in nome di quelle parole tenute segrete.
«Scrivo perché voglio leggere libri come quelli che scrivo. Scrivo perché ce l’ho con voi, con tutti. Scrivo perché posso sopportare la realtà soltanto trasformandola».
Suo padre, in fondo, c’era ancora. Il tempo non passa dentro la valigia.
Se ogni straniero è nemico
C’è una valigia anche nel nuovo fumetto di Vittorio Giardino. Ne parla lui stesso nella prefazione, e dunque non anticipo nulla anche perché il volume è freschissimo di stampa: un’avventura dell’agente segreto Max Fridman. C’è una valigia che nel 1938 doveva contenere gli ultimi beni preziosi, e i ricordi, che una famiglia di ebrei austriaci poteva portare con sé prima di essere arrestata e portata via. Una valigia da riempire mentre si chiedono dove sarebbero finiti. I cugini Meyer è un’opera molto curata, come sempre da Giardino, e con una tensione che sale già dalle prime pagine. Anzi, sale prima che tutto cominci, in una citazione di Primo Levi (presa dalla prefazione di Se questo è un uomo):
«A molti, individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che ogni straniero è nemico. Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come una infezione latente; si manifesta solo in atti saltuari e incoordinati, e non sta all’origine di un sistema di pensiero. Ma quando questo avviene, quando il dogma inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo, allora, al termine della catena, sta il Lager».
La valigia di Pandora
Possiamo guardare ogni persona che incontriamo, conosciuta o ancora sconosciuta, immaginandola accanto alla propria valigia. Non è uno sforzo al di là delle nostre possibilità: basta un minimo di immaginazione.
Immaginare la valigia dell’altro ci rende migliori. Se dimentichiamo di aprire la valigia. Se l’amministrazione USA rimuove i giorni dedicati alle minoranze e alle discriminazioni. Se Google si mette avanti e rimuove le date civili da Google Calendar, tra le quali le giornate dedicate alla memoria della Shoah o alla lotta al razzismo. E noi continuiamo a usarlo, per dire. Se il presidente della nazione più ibrida al mondo, che solo grazie all’istruzione ha potuto rimanere unita e solo grazie alla cultura ha portato ovunque innovazioni grandiose nell’arte e nella scienza, decide di portare disumanità alla radice, e rimuovere direttamente il ministero dell’istruzione. Sono tutte scelte brutali perché dimenticano la storia di ognuno. Dimenticano la valigia. Farsi fotografare con persone in gabbia alle proprie spalle, come nazisti 2.0.
Se non vediamo la valigia accanto a ogni individuo, perdiamo il senso della nostra umanità. E cosa rimane? Un presente vuoto e triste.
«Per troppo tempo abbiamo creduto che il mondo fosse qualcosa da comprare a un dollaro e rivendere a due».
Lo dice Antkony Hopkins in Vi presento Joe Black.
È tutto qui, dai presidenti squilibrati agli ayatollah, dagli estremisti religiosi ai terroristi: comprare il mondo, possederlo, rivenderlo al doppio. Cosa rimane del nostro presente, se non guardiamo la valigia? Lo ha detto giusto Gidon Lev, 89 anni, sopravvissuto di Terezín, commentando la presenza di Elon Musk ad Auschwitz:
«È solo e soltanto performance».
Sbertucciare Elon Musk è un esercizio ormai inutile, perché quotidianamente ti anticipa lui stesso riuscendoci benissimo da solo. Ma in vita mia non ho mai sentito usare la parola performance in modo così corretto e preciso: la vita senza valigia è una lunga, inutile performance.
La valigia è il nostro vaso di Pandora. Apriamolo. Insieme, apriamolo. Apriamo le valigie. Lottiamo perché un’altra persona si senta libera di aprire la sua. È il miglior modo per dire che ogni straniero non è nemico. Aprire la valigia, in fondo, è vivere.
Genitore e figlio, coetanei
Paul Auster ha scritto un libro di racconti dedicati alle coincidenze. In Italia s’intitola Esperimento di verità, e fra quelli si parla di un padre disperso tra le montagne, chissà dove, e di un figlio che sciando lo ritrova per caso, perfettamente conservato nel ghiaccio. Auster ci mostra la scena come se il figlio si presentasse di fronte a uno specchio, perché questo gli capita: gli anni sono passati, il figlio è diventato grande e quando ritrova il corpo del padre ha tanti anni quanti ne aveva suo padre il giorno della scomparsa. Proprio la stessa età. Il tempo non passa dentro il ghiaccio. Il figlio guarda il padre e sul momento gli pare di vedere la propria immagine riflessa. Non è però il riflesso a rimandare la forma del viso, bensì il tempo. Il tempo gli mostra la sua immagine, il tempo si annulla e con lui si annulla la distanza che prima esisteva tra padre e figlio. Sono vicini. Sono coetanei.
Lo scalatore argentino Guillermo Vieiro aveva 44 anni nel 1985, quando scomparve scendendo dalla vetta del Tupungato. La figlia Azul ha ritrovato nel ghiaccio lo zaino di suo padre un mese fa. Azul ha 44 anni.