Perché l’Andersen è trasparente
Fotografia di Mara Pace.
Ho pensato di rinunciare a molte cose negli ultimi tempi. L’ho pensato, e poi l’ho fatto. Mi sono sorpreso per la poca fatica che mi ha richiesto la rinuncia. Si vede che erano faccende da poco, o che la stagione era davvero matura.
Oggi dedico tempo a meno faccende, solo a quelle che considero più importanti. Sono uscito da tutti i social (non li nomino nemmeno), ho cancellato account accesi secoli fa, nella mia testa, che usavo solo come vetrina per il mio lavoro e che mai avevo usato come “social” alla lettera (non avevo mai realmente socializzato con nessuno che non frequentassi già di persona, o caricato fotografie personali, o di vacanze, o di parenti). È accaduto da mesi, e nemmeno una di quelle pagine mi manca.
Da tempo pensavo di aprire una newsletter, per avere un rapporto più diretto con chi desidera riflettere insieme a me su alcuni aspetti del presente. L’ho pensato, e poi l’ho fatto. Eccola qui.
Sono zavorre da scaricare, e bagagli da scegliere. Come per un viaggio. L’anno prossimo compirò 50 anni, e forse in fondo mi sto preparando.
Poi è arrivato l’Andersen, il premio Andersen. Lo consegna la rivista indipendente Andersen e in Italia è il più importante di tutti. Quando lo avevo vinto la prima volta, nel 2018, mi sentivo diverso da ora. O meglio, oggi mi sento diverso da allora. Ma il premio mi piace sempre. Mi serve da spartiacque ogni volta.
Nel 2018 il premio consisteva in una targa. Oggi è una statuetta, cugina nella forma di quella dell’Academy Award (quella che tutti chiamiamo “Oscar”). È di plexiglass trasparente.
Quando la luce la colpisce, le passa attraverso. Solo il contorno brilla, come fosse disegnata nell’aria. Attraverso la statuetta, si vede il premiato. Soprattutto, attraverso la statuetta, il premiato vede quello che la statuetta rappresenta.
Io ci vedo molta gratitudine.
Alla premiazione, un po’ come nei concorsi canori dove si ricanta il pezzo che ti ha portato fino a lì, ho pensato di regalare musica e reading a chi c’era. L’ho pensato, e poi l’ho fatto. Sofia Bellettini al violoncello ha suonato Britten e Bach, ci siamo accompagnati a vicenda mentre leggevo un passaggio di Eravamo il suono, il mio ultimo libro uscito con Lapis.
Ecco perché l’Andersen è trasparente. Perché rinuncia a qualcosa, rinuncia all’oro del premio, e insieme si prende tutta la vista e la gratitudine. Perché un po’ chiede e un po’ dà.
Ho pensato che anche con il passato deve andare così. Forse anche da insegnanti deve andare così. Sei trasparente, ti fai trasparente. Non del tutto. Hai una consistenza, si vedono i tuoi contorni, ma non sei d’oro. Sei un essere umano. Ti lasci attraversare dai colori. Non sei indenne a nulla, e proprio per questo sei ancora lì, a starci bene. A fare Memoria con la tua forma.
L’ho pensato, e poi l’ho fatto? L’ho pensato, e vedrò di farlo. Magari insieme a voi.