Terrorismi

Ci vogliono convincere che battere il terrorismo passi anche attraverso la sua introduzione nella normalità delle nostre vite, esattamente come avviene in altri luoghi del mondo. Come se la violenza fosse qualcosa che capita per forza, qua e là. Il ragionamento sembra semplice: i terroristi vogliono attenzione? Noi li releghiamo nella dimenticanza e ci attrezziamo (leggi: ci armiamo) per difenderci pur continuando a fare quel che facciamo di solito. Una normalità angosciante.

Credo invece che l’attenzione che i terroristi chiedono, noi gliela dobbiamo dare: traendone però conclusioni opposte. Sarà la mancanza di indifferenza che li sconfiggerà. Non saranno i nostri armamenti, le nostre app, i nostri “je suis…” È la mancanza di indifferenza che ci rende civili. Perfino l’accoglienza, che è un valore nel quale crediamo e che il terrorismo ostacola nei pensieri, va attuata con senso, e senza indifferenza.

Togliere armi e soldi ai terroristi è una mossa necessaria, ma non la possiamo fare noi. Oggi a noi (e in questo “noi” ci stanno dentro anche tutti i musulmani) è chiesto di non essere indifferenti. È chiesto di mollare quel Pokemon Go mentale che ci spinge a fare cose facili facili, ripetitive ed elementari, convincendoci che la realtà sia tutta lì, che la felicità sia chiudersi e non guardare mai alto, mai fuori. Mi chiedo se la nostra responsabilità di adulti non sia invece affrontare a testa alta questa realtà così complessa e dura, ma non molto diversa da quanto avvenne 20 o 40 anni fa in Italia, una realtà che vorremmo riuscire a raccontare ai bambini. Affrontare la vita disarmati e coraggiosi è molto più difficile che farlo armati e angosciati, ma è l’unica prospettiva che nel mio cuore assomiglia alla felicità.