La vita. Hai presente?

Oggi alla cassa di un centro commerciale ero in coda davanti a una ragazza in carrozzina. Avrà avuto dodici anni. La carrozzina era troppo bella per pensare a un accomodamento temporaneo. Aveva le ruote rosa, laccate, coi brillantini, come fossero unghie belle pronte per una bella serata. Stava lì, la ragazza, coi suoi guantini. Mi ha guardato per un attimo solo quando ho cercato di aiutarla: un dosso tenuto fermo col nastro adesivo nero, nella moquette, la ostacolava. Ho fatto il gesto di chi si gira per prendere una delle maniglie della carrozzina, ma in realtà sono stato fermo, ha percepito tutto lei ben prima che mi muovessi. E mi ha guardato con l’aria di chi vuol dirti: ce la faccio da sola, sei scemo. Anche se in cuor suo forse sapeva bene che non sarebbe stato così semplice. Si è inarcata sulla carrozzina, ce l’ha fatta, mi ha sorriso. A metà era un grazie, a metà era un “visto?” Avevo diverse risme di carta in braccio, ho ricambiato il sorriso da dietro una di queste.

Due metri più in là tre ragazzini della sua età provano cuffiette da iPod e se la ridono con gli AC/DC a tutto volume. Pago, me ne vado. Nell’eco delle cose in vendita si perdono le parole della musica: è dura arrivare in cima se vuoi fare rock and roll. Dove sta la vita? È lì in quelle cuffiette, dentro quei fili. È lì in quelle mani su quelle ruote, è nei sorrisi dietro le risme di carta. È in quell’odore di bagnato che sento nel naso mentre esco e non trovo la macchina, come sempre, e apro il baule cercando le chiavi a fatica, perché son sempre nell’altra tasca. Forse dieci anni fa l’avrei pensata diversamente, avrei detto che la vita è quel che desideri, è quel che sarà. Oggi dico che è anche quel che è, è quel che ti succede controvoglia, fuoritempo, è prender per mano, è far la guardia a un anziano senza avere la sensazione di perdere il pomeriggio, è accorgersi d’aver perso tempo ad arrabbiarsi, a innervosirsi per certe piccolezze, per certe frittate fredde d’intellettuali, è guardarsi un po’ indietro.

 

C’è stato un tempo in cui si è trattato d’esser giovani. E noi lo siamo stati.

Ho compiuto da poco 36 anni. Come mi sarei sentito vecchio, a 12, pensando a quelli della mia età di oggi. Oggi mi sento più giovane di allora. Di quel che volevo fare a vent’anni non ho realizzato nulla, se ci penso. In questo tempo non ho fatto altro che correre, e in mezzo alle corse me ne sono capitate davvero tante. Un tempo ci stavo perfino male ma oggi, chissà, guardando la laccatura di quelle ruote, ho pensato che sia andata bene, che la vita riserva a ciascuno sorprese, e pure a me, che leggi un motivo per alzarsi anche negli occhi di chi alzarsi non può.

C’è stato un tempo in cui si è trattato d’esser giovani. E noi lo siamo stati. Potrei dare le dimissioni oggi da tutto quanto ho costruito, nel lavoro, ed essere ancora felice. A vent’anni forse non lo capivo, o semplicemente non avevo un lavoro. Stringo mani, sopporto pianti, cambio pannolini, mi sveglio di notte per consolare una bimba dopo un brutto sogno. Ogni tanto vado a correre. La vita, hai presente? È questo tempo incidentale, tra un appuntamento e l’altro, pieno di incontri che non t’aspettavi, giusto se ti lasci interpellare, se non ti chiudi a pensare che il tuo tempo, il tuo mestiere, le tue parole, valgano perfino più di lei, valgano più del ricordo d’aver pranzato nella roulotte dei sinti, d’aver aiutato un anziano a pisciare, perché sacra era anche quella ultima pisciata, d’aver passeggiato con chi stava bene e chi stava male, d’essersi morsi la lingua ma anche d’essersi arrabbiati. Passare per cattivi pur di sembrare vivi, pur di trattare le persone ancora come meritano, con il rispetto di chi contraddice, di chi non tratta gli altri, anche più importanti e potenti, con il silenzio che si riserva ai malati di mente, a cui tutti dan ragione pensandone male. Viene più facile perfino chiedere scusa, tornare sui propri passi, a chi importa? A me no.

E poi l’idea di voltarsi, il giorno del tuo compleanno, a pensare d’aver portato a casa nulla di quanto t’eri prefissato, a pensare come sono cambiate le tue emozioni, a come è cresciuto il tuo desiderio. La leggerezza di non aver realizzato nulla di pesante, perché un po’ pesanti li erano, i tuoi sogni passati, ma d’avere intorno una famiglia, d’essere insieme alla stessa Eli da quattordici anni, pochi buoni amici, ritornare a casa e spegnere la macchina pieno di pensieri. Guardarsi nello specchietto retrovisore e dire: questi sono gli anni più belli della tua vita, e tu, proprio tu, hai la fortuna di essertene accorto.