La bontà del male

Ci sono tragedie e tragedie. Ci sono tragedie che dipendono dal maltempo. Ci sono tragedie che dipendono dalla disperazione di chi parte ed è talmente disperato da non vedere più il pericolo di fronte ma solo il pericolo che lascia alle spalle.

E poi ci sono tragedie come quella di Crotone. Nelle quali è coinvolto il maltempo, sì, e pure è evidente la disperazione di chi parte. Ma c’è un elemento in più, che poco a poco affiora dalle parole dei soccorritori.

«Potevano essere salvati».
«Con il mare forza 7-8, altre volte siamo usciti e abbiamo tirato su gente viva».

Ossia con quelle condizioni di mare, in altri momenti e in altri tempi e con imbarcazioni di soccorso più fragili di quelle a disposizione stavolta, è stato deciso di intervenire e salvare vite. Perché stavolta no?

Perché basta una sfumatura, una sfumatura di parole. Passare da “proviamo a salvare tutti, è la legge del mare” a “carico residuale” non è secondario.

C’è un confine apparentemente sottile tra la volontà di salvare vite e la scelta di lasciarle in mare. È una sfumatura che passa per le parole “blocco navale”, “non dovevano partire”, “la disperazione non può mai giustificare viaggi rischiosi”.

Parole che puntano a convincere che l’indifferenza ha una sua base razionale, che l’altruismo è una opzione poco praticabile, che il dolore altrui è colpa degli altri e porterà altri a piangere loro stessi. Ma non potrà mai e poi mai incrinare il nostro stile di vita. Il nostro benessere.

Se le parole le pronuncia un ministro della nostra Repubblica, poi, l’indifferenza diventa un atto politico, una linea di potere. E questa linea si ripercuote, un po’ per volta e solo inizialmente senza segni evidenti, sulle coscienze di chi deve prendere decisioni più in basso.

Esco o non esco per salvare vite? Se in fondo non sono vite, ma sono un “carico”, perché rischiare?

L’indifferenza è ragionevole. Il male è buono. È la linea politica dell’Italia nel 2023.