La complessità della Memoria (e del mondo)

Sono partito un lunedì, era l’8 di gennaio e mi sembra passata una mezza vita. E come ogni anno è stato un incontro via l’altro, senza sosta, senza sabati e domeniche, senza pause, fino a oggi. Il Giro della Memoria non è ancora concluso, mancano le date di Parigi nelle diverse “venue”, come dicono i tour manager. Ma in attesa di incontrare i francesi riesco oggi a fermarmi a guardare quel che è accaduto.


Sono stati due mesi speciali, vissuti col cuore che batte forte. Sono stati due mesi di incontri, bellezze, parole importanti. Chilometri e chilometri, grandi teatri e auditorium, orchestre, musica, classi sparute di paesini minuscoli, prove del suono e microfoni, ancora viaggi, biblioteche favolose, musiche di scena, treni prima dell’alba, freddo, abbracci, biglietti, alberghi dove svegliarsi di notte e chiedersi “dove sono?” e sul momento non sapere cosa rispondersi.


La Shoah non va dimenticata.

Sono stati due mesi difficili, di domande e fatiche, di ricerca di un senso. Sono stati mesi nei quali, da ebraista, sono stato accusato di tutto, dalla collusione con il peggior governo israeliano alla corresponsabilità di “genocidio”. Mesi nei quali la domanda “stai coi palestinesi o con gli israeliani?” me la sarò sentita ripetere mille volte. Sono stati mesi di dialogo, di tentativi. Mesi per aprire gli occhi e per provare ad aprirli agli altri, mesi per farsi un’idea, per proporre idee.


Porto dentro le serate con tre giovanissime musiciste, a spasso con il mio nuovo libro. Sono persone straordinarie. Il tempo con loro è pieno di dolcezza e sicurezza nelle nuove generazioni.

Sono stati mesi di contraddizioni. Ma forse le contraddizioni le ho sempre vissute dentro di me, nella mia storia. Mesi nei quali ho tenuto nella mente e nel cuore gli amici ebrei conosciuti fino a qui (quelli che mi conoscono e mi capiscono), gli amici musulmani conosciuti fino a qui (che anch’essi mi conoscono e mi capiscono), i terribili report israeliani sul pogrom del 7 ottobre, la politica antisemita e omicida di Hamas, il terrore, le vittime palestinesi dei bombardamenti israeliani, la foto di una mamma a Gaza che tiene in braccio una bambina, viva ma ferita, e tutto intorno a loro la distruzione e chissà quale futuro.

È tutto nella mia mente. È la complessità. Forse è la vita. Forse c’è che proviamo a farci stare ogni cosa, ma ogni cosa non ci sta. Nel dolore. Nella speranza. Tutto non ci sta.

Guardo le bandiere palestinesi in piazza con una sensazione di amarezza. Perché so cosa manca, lì, in quelle piazze.
E così ogni giorno ci si prova. Si viaggia. Si sale sul palco col cuore in gola. Si porta dentro di sé tutta la contraddizione di ricordare cosa è accaduto ieri per proporre un presente diverso, anche se il presente in tanti casi somiglia troppo al passato.
Si portano nel cuore le amiche ebree e gli amici ebrei, quelli che non hanno mai odiato i palestinesi e che oggi non sentono alcun sostegno nelle piazze, e si ritrovano a essere ancora minoranza.

E allora lo stesso cuore che posso mettere a favore dei poveri civili palestinesi, oggi vittime, lo metto qui per gli ebrei italiani, che si ritrovano soli. Soli.

Porto nei pensieri ognuno di voi, ebrei e non ebrei. Ognuno di voi che ha partecipato al mio viaggio, nei teatri e nelle scuole, negli incontri pubblici, mi ha mostrato amore, mi ha mostrato un orizzonte, una vita di fatica e complessità, ma ancora col sorriso.
Siamo qui. Viaggiamo. Facciamo memoria. Siamo vivi, e non facciamo un passo indietro.

ps • per chi ancora mi chiede se sto con Israele o con la Palestina, la risposta è sempre la stessa: sto con chi non mi fa questa domanda.