Cosa alimenta il fanatismo antisemita

[ Paolo Ferrario mi ha intervistato per Avvenire del 31 ottobre 2023]


Negli ultimi giorni, le manifestazioni pro Palestina e, soprattutto, contro Israele, hanno compiuto un pericoloso salto di qualità. Dagli slogan nei cortei, si è passati a tracciare le Stelle di Davide sulle case degli ebrei, fino al terribile assalto all’aereo proveniente da Tel Aviv in un aeroporto del Daghestan, in Russia. È, insomma, partita la “caccia all’ebreo” e l’Italia, non è, purtroppo, da meno, in questa corsa verso l’abisso. «Adesso in pericolo non sono gli ebrei, ma proprio “l’ebreo”, la cui immagine stereotipata è, cristallizzata nei secoli, sempre uguale», conferma Matteo Corradini, ebraista e scrittore, da anni impegnato a divulgare la Memoria della Shoah nelle scuole.


Questi rigurgiti di antisemitismo sono una “risposta” alla reazione di Israele o c’è dell’altro?
Queste manifestazioni esistono purtroppo di per sé, indipendentemente dalla politica di Israele. E risalgono in superficie più velocemente in concomitanza con episodi come l’attacco terroristico di Hamas. Israele è molto più complessa di quanto si creda. È un caleidoscopio in cui convivono persone di orientamenti politici diversi, di spiritualità e stili di vita diversi. L’antisemitismo non percepisce la complessità di Israele e la varietà dell’ebraismo internazionale. Per l’antisemita ci sono soltanto gli ebrei. Anzi, l’ebreo. Sempre uguale nei secoli, e sempre nefasto. Cristallizzare l’altro significa però cristallizzare sé stessi, e questa polarizzazione porta all’ascesa di Hamas, alla giustificazione dei coloni in Cisgiordania… Tutto il resto sembra silenziato. Eppure non mancano tante esperienze dove ebrei e musulmani vivono in pace. È da qui che potrà nascere un futuro per quella terra. Non certo dalle armi e dalla guerra.


La preoccupano le manifestazioni pro-Palestina?
Spero sempre che qualcuno organizzi una grande manifestazione con bandiere palestinesi e di Israele le une accanto alle altre: finora non è successo, ma non perdo la speranza. No, le manifestazioni pro Palestina non mi inquietano quando vi leggo un’apertura alla pace. Mi preoccupano, semmai, gli slogan violenti e certi boicottaggi insensati, che ribadiscono un’immagine stereotipata dell’ebraismo e dimostrano in chi li produce la mancanza di umanità verso le persone che in Israele stanno affrontando una prova terribile e verso gli ebrei italiani ed europei, pieni d’ansia e di lacerazioni per quanto sta accadendo. Ognuno di noi, per la sua storia personale e per le sue relazioni, empatizza d’istinto per una parte. Io non sono ebreo ma empatizzo con gli ebrei italiani e con gli amici e le amiche che sono in Israele. Questa forma di affetto ha però senso per ciascuno solo quando non ti acceca la mente e il cuore. Se l’amore per i tuoi ti insegna quanto un altro ama i suoi, e quanto per questo vada rispettato e tutelato, è già tutto.


Quanta responsabilità ha la politica nella polarizzazione del dibattito sul Medio Oriente?
Israele e la Palestina sono diventati due simboli anche per la politica internazionale e questo ha prodotto solo problemi: i simboli non accettano sfumature, sono totalizzanti e non ammettono aperture all’altra parte, che diventa solo controparte. Ma la relazione umana è fatta di sfumature e concessioni, significa in nuce essere disposti a trovare del buono nelle ragioni dell’altro.


È dai bambini che può arrivare un cambio di passo?
I racconti sulla Shoah, nelle scuole, ottengono un duplice effetto: invitano a conoscere chi sono davvero gli ebrei e questo porta a un calo degli stereotipi e dei pregiudizi. Dall’altro, la conoscenza del meccanismo razzista e antisemita sviluppato dai nazisti e dai fascisti aiuta i ragazzi a considerare come, purtroppo, quello stesso meccanismo si riproponga anche oggi quasi identico e non solo contro gli ebrei.


Anche a scuola?
I ragazzi musulmani sono spesso interessati ai miei incontri. Forse perché anche loro sono o sono stati vittime di discriminazione. Empatizzare con le vittime del passato non porta a vendicarsi sul presente, perché la memoria è maestra. Chi oggi è vittima di razzismo, sappia che c’è qualcuno che tiene a lui. Che non è solo.


Che cosa direbbe ai tanti giovani che vanno in piazza urlando slogan contro Israele e gli ebrei?
All’inizio non direi nulla. Li accompagnerei a conoscere un ebreo o un’ebrea di persona. Li inviterei a entrare in qualche luogo significativo. Se avessero un amico ebreo, se conoscessero veramente gli ebrei, non urlerebbero quelle cose. In Italia c’è un buco di cultura e di conoscenza sugli ebrei. Per questo ci sono più manifestazioni pro Palestina che per la sopravvivenza di Israele: per pigrizia. Una pigrizia che porta a odiare. E anche questo ci deve far riflettere.