Poveri sottili

È una concentrazione di correnti, una somma di colline e di venti, a portare qui la nebbia. La conosciamo bene, da novembre a febbraio è la più fotografata in città e ne fa talmente parte da spingerci a pensare che un paio di piazze, certi scorci e perfino alcuni palazzi siano stati pensati così tanto in suo nome che in assenza di nebbia perdono bellezza. Si raggomitola da noi, la nebbia, perché oltre non sa andare: non può scavallare le montagne, le sarebbe impossibile, fatica a camminare sulle acque e si accontenta di strusciare le colline come un gatto bianco le gambe della padrona quand’è l’ora di cena.

Siamo passati da 26 microgrammi a 23, ossia nell’anno appena concluso sono diminuiti in città i valori di polveri sottili. Lo dice l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Qualcuno invece pensa sia la stessa corrente della nebbia a innalzare da noi la concentrazione di poveri sottili, un vento che porta i poveri sottili a superare lontani reticolati, ad affrontare lunghi viaggi fino a stabilirsi qui, a entrare negli androni dei condomìni, infilarsi col vento nelle vie, sgusciare d’improvviso quando arriva un controllo, fermarsi perché oltre non sanno andare. I poveri sottili perlopiù arrivano da fuori ma sono anche prodotti vicino. Da chi prende l’auto e mai, mai, va a piedi; così incontra solo auto e non esseri umani. Da chi alza la caldaia a tutto gas, per trattenere dentro il caldo e per contrasto far sembrare ancor più freddo il freddo nella via. Anche tante industrie all’avanguardia continuano a produrre poveri sottili come cent’anni fa.

I poveri sottili sono così sottili, e così poveri, che nemmeno li vedi. I poveri sottili li respiri. Anche se non vuoi, anche quando non te ne accorgi, e spesso non te ne accorgi. I poveri sottili si depositano vicino al cuore. A scuola dovremmo imparare a chiamare la nebbia in cento modi, come gli eschimesi nominano la neve, per comprendere quanta fantasia la nebbia ci ha allenato, quanto desiderio di conoscenza ha cresciuto in noi, quanto ha generato in noi l’idea che davanti all’invisibile ci si arrende o si attacca solo per secondi. Senza rimanerne confusi o più correttamente annebbiati: quest’anno ce n’è di più, l’anno scorso nulla, ma ti ricordi quella volta, si vedeva una sola riga della strada, ci abbiam messo una giornata a rincasare, stasera non esco ché ce n’è troppa.

Sarebbe altrettanto utile da parte nostra dare cento nomi ai poveri sottili, nomi di persone e di sentimenti, di oggetti e di indirizzi nel mondo. Tra tutti quei nomi troveremmo certamente il nostro, e quello delle persone che ci mancano, e quello di chi si è perso come nebbia. Ci troveremmo cose che non possediamo e case che non abitiamo più. Ci troveremmo cose che non abbiamo mai avuto. La povertà, come la vastità, è sempre meglio tenerla nascosta dentro anziché guardarla.

Quando la nebbia si dirada, tiriamo un sospiro di sollievo e non ci pensiamo più, come se non fosse mai esistita. I poveri sottili invece ci sono sempre, sparsi nell’aria, e le correnti servono solo a mescolarli, a soffiarne un po’ oltreconfine, a cambiarne il volto e l’espressione. Sono i poveri sottili a mostrarci se in città i valori sono alti, o se sono altri. Perché i poveri sottili raccontano un bene che manca, anche a me, un bene che conta ancora qualcosa. E dicono a tutti che nessuno deve combattere per meritarlo.