Ciao, università

E va bene, ho restituito le chiavi del mio ufficio. Ho camminato sulle scale seminando i pensieri. Davanti alle facce degli ultimi studenti, all’ultimo esame, sono stato impassibile e concentrato. Ma lì, lì con noi, c’eravate tutti. Tutti voi che ho incontrato in questi anni belli. C’era la polvere magica dei nostri momenti. Sono uscito dalla porta guardandomi indietro. Ho acceso il computer, ho cancellato le mie cose, il mio fondino, le mie impostazioni, ho preso le ultime cose, ho guardato quel nido rimasto dall’autunno scorso, oltre la finestra, attaccato non so come a due rami. Sono uscito. Il mio nome sulla targhetta non c’è già più da qualche mese.

 

Scappo. Scendo, passo davanti alle aule, alla mia aula, quella bella, con le vetrate e il prato fuori.

E va bene, ora lasciatemi in pace, però. E invece eravate ancora tutti lì, nel corridoio. Ricordo tante di quelle ore da non ricordarmi nemmeno quante sono. Scappo. Scendo, passo davanti alle aule, alla mia aula, quella bella, con le vetrate e il prato fuori. Forse vi ho lasciato indietro, macché. Riconsegno registri e documenti. Ecco fatto. Il mio cassetto di posta nel casellario è stato sostituito da settimane. Attraverso l’atrio, ripenso a certi laboratori, alle vostre facce. Prendo la porta a vetri, chiudo. Cammino come mille altre volte, ma questa è proprio l’ultima da professore. Ed eccola lì, c’è ancora in tutto il suo mistero: la mia aula prato. E lì vi vedo ancora, seduti nell’erba come fiori, a pensare, a pensare a quanto erano strane, anche, le cose che facevamo. Era bello, è stato bello. Passo oltre, forse ce la faccio, ce la faccio ad arrivare in macchina e mettere in moto, e fare manovra senza che nessuno se ne accorga. Senza che nessuno si accorga che sono commosso. Accendo, alzo la musica. Le parole della radio asciugano via tutto.