Vera
«Devo partire anch’io.» Vera ha la voce di vetro.
La prendo per un polso senza pensarci, ci guardiamo e finalmente la vedo: c’è una farfalla dietro di lei, sbuca da un nascondiglio sotto una foglia, è una farfalla bianca come non ne avevo mai viste qui a Terezín, non ci sono farfalle nel ghetto ma sono io quella farfalla e girerò zitta e sola per giorni e giorni nel giardino, digiuna di vivere dopo aver visto Vera, disinteressata all’aria e ai fiori. Volerò dietro le caserme e vedrò i tetti passandovi accanto e scorgerò senza badarci la fila di gente caricata sul treno merci e sentirò il rumore del ferro e mi librerò oltre il bastione più grande e sorvolerò l’erba e il fango dell’autunno che comincia.
«Svuotano la nostra stanza e un piano della casa, partiamo quasi tutte subito. Alcune sono già alle rotaie. Stavo per salire, sono passata a salutarti» aggiunge Vera mentre mi stringe la mano con l’altra mano. Ha la pelle ruvida.
«Addio.»
Raccolgo un fiorellino e glielo porgo prima che si allontani troppo. Mi guarda ancora, con un occhio lucido e uno chiuso.
«Siamo noi, questi fiori da niente. Nasciamo selvatici, siamo svelti a colorarci e tanto rapidi ad appassire» dice, chiudendo il palmo sui petali.
«Cresciamo solo in una terra senza vaso» le dico.
Sono io quel fiore ancora a terra che mosso dal vento fa no e no con la corolla mentre Vera se ne va e si volta solo un momento per sorridermi. Un sorriso come se niente fosse accaduto, come se fossimo ancora a Praga liberi e sereni a tenerci per mano, camminare spettinati e avere nella mente solo un appuntamento per il prossimo bacio. Gira l’angolo e vedo ancora una volta tra le sbarre il nastro rosa della valigia e il fiorellino nella sua mano.
«Addio.» Lo dico senza che mi senta più. Forse lo sto dicendo a me stesso.
Avevo scritto così nella Repubblica delle farfalle (Rizzoli) per congedare l’unico personaggio di mia invenzione in tutto il libro. L’avevo chiamata Vera perché era l’unica finta. Ma chissà quanto sono finti i personaggi dei libri, e se sono finti per davvero.
Sto aiutando una scuola (che bellissimi insegnanti e bellissimi ragazzi) a organizzare una mostra sul ghetto di Terezín. E i ragazzi hanno deciso di raccontare Vera, la ragazza, la ragazza del libro. Con un disegno. Lei svanisce, diventa farfalle, vola via. Rimane qui il mio grazie per tutti loro.