La forza del galagone

Scrivo imboscato nella savana keniota mentre mezzo milione di diciannovenni piacentini e italiani sono alle prese con la prima prova scritta della loro maturità. Perché sono qui? Se non fate rumore, ché mi spaventate le bestie, ve lo svelerò. Mentre striscio silenzioso tra le fratte e occhieggio tra lunghi steli secchi, vengo a conoscenza delle prove d’esame: la natura tra minaccia e idillio nell’arte e nella letteratura, il saggio breve socio-economico sulla robotica e le nuove tecnologie, e infine il miracolo economico italiano. Tutte prove che eviterei come la sabbia nel costume da bagno finché non mi comunicano la prova letteraria dedicata a Giorgio Caproni, con la sua poesia “Versi quasi ecologici”. Tra tutte le poesie forti e commoventi di Caproni, ne hanno scelta una di “versi quasi belli”, ma pazienza: quel che balza subito all’occhio, ed è il motivo della mia presenza qui, coricato tra cespugli kenioti con un ciuffo d’erba appiccicato in testa, è il galagone.

No, non fate la faccia di chi sa di cosa parlo. Il galagone non l’ha mai sentito nessuno: è una specie di scimmietta dai grandi occhi e dalla coda morbida, e Caproni lo cita così (e dire “cita” per una scimmietta mi sembra davvero appropriato): «Non soffocate il lamento / (il canto!) del lamantino. / Il galagone, il pino: / anche di questo è fatto / l’uomo».

Il galagone deve aver travolto i pensieri di quei centomila ragazzi e ragazze che hanno scelto proprio quel tema: ce li vedo, sudati e in balia dei tremori dell’ansia, preparati fin sui punti e virgola dell’opera di Montale, ritrovarsi a dover riempire quattro fogli protocollo sulla difesa della natura e in particolare del galagone. Chissà poi se lo avranno trovato nel dizionario, cercandolo tra le parole come io lo cerco qui nella savana, o se avranno chiesto timidamente al presidente di commissione, e il presidente stesso, ce lo vedo, avrà riflettuto sul destino beffardo dell’insegnante che oggi è qua con le proprie certezze e domani è là col galagone.

Eccolo che scende dal ramo di un albero, lo vedete? Lo inquadro con il mio pensiero e ve lo mostro. Mica avrete creduto che sono in Kenia per davvero? Il galagone è la misura della maturità. Non vi sto prendendo in giro, dico sul serio. Con il proprio studio, con la tenacia, la perseveranza, con le ore dedicate ai libri, si ottengono ottimi risultati ma non si diventa maturi. Si è maturi quando, credo, nel mucchio sparpagliato di parole che già conosciamo, una si mette a brillare di luce propria e ci spinge a ricercare, appassionarci, arrivare a una conoscenza che non è più scolastica ma umana, commovente, esaltante. E difficile, ah, quanto difficile. La forza della maturità sta nella voglia di spingerci a sapere ciò che lo studio non ci ha ancora permesso di conoscere. Spingerci a saltare quel centimetro in più oltre l’asticella, là dove il semplice allenamento ci ha permesso di avvicinarci ma dove solo il nostro desiderio ci permette di arrivare. La forza del galagone è tutta qui: una scimmietta arruffata rappresenta tutto un esame.

E quella studentessa o quello studente che hanno scritto quattro pagine intere di pensieri personali sul galagone, vorrei conoscerli di persona, sapere cosa sanno, vedere il galagone coi loro occhi. Per me, sono già da lode.

© per l’illustrazione Lucia Scuderi 2017