Da dove vieni? (a favore dello Ius soli)

In passato nei miei incontri mi capitava di chiedere alle ragazze e ai ragazzi una cosa molto semplice:
«Da dove vieni?»
Facevo quella domanda con naturalezza, con dolcezza. Erano tempi diversi, e molti di loro erano arrivati qui in Italia da non troppo tempo, da altre nazioni. Chiederlo mi pareva un modo per conoscere una parte importante della vita di un altro o di un’altra. Era un modo per dire: il luogo da cui vieni merita di essere conosciuto.
Un po’ per volta ho cominciato a cambiare domanda, a farne altre. Un po’ perché quella questione cominciava a essere banale. Un po’ perché spesso la risposta era più o meno questa:
«Intendi la mia famiglia?»
Perché chi riceveva la domanda era nato in Italia, ma comprendeva subito che occorreva fare un salto di generazione per rispondere.
Quando parlano di “Ius soli”, sono solo d’accordo. Perché il “soli” esiste già da sempre. Questi sono italiani e italiane. Vivono qui. Parlano qui. Crescono qui.
Non dare loro lo “ius” significa ostacolare una generazione. È una scelta disumana. Vogliamo che una generazione di ragazzi e ragazze crescano in una nazione senza umanità? Vogliamo vivere in un luogo senza cuore?
Io no. Ero straniero e mi avete accolto. Tutto il resto è brutta politica.
Qualche settimana fa, una ragazza mi ha fatto una foto poco prima di parlare nel suo liceo. Io le ho risposto con una foto. Le ho chiesto quale fosse il suo nome. E lei ha risposto:
«E tu da dove vieni?»