Dare forma al male, dare forma al bene

È un problema di forma, secondo me. Ma non nel senso che forse vi aspettate.

Il razzismo ha bisogno di una forma per completarsi, per realizzare il proprio male su larga scala. La xenofobia intima, l’odio personale, la rabbia taciuta esistono ma sono fenomeni circoscritti all’animo umano. Quando si allargano, svaniscono in fretta se non prendono forma. È come se fossero gassosi: necessitano di un contenitore che li accolga e raccolga. Ilcontenitore serve al singolo xenofobo per riconoscersi in un altro xenofobo tanto simile a lui. Serve al singolo a sorreggere le proprie intenzioni nello specchio di un altro, attraverso quell’effetto gregge che già i dittatori del passato (o meglio, i loro consiglieri più astuti) conoscevano bene.

Cosa significa dare forma alla xenofobia? Significa creare una finzione nella quale lo xenofobo si senta giustificato e non giudicato, apprezzato e non messo ai margini. Un mondo che sia a misura di odio. Senza pensieri. Senza rimorsi. Senza sensi di colpa.

Significa creare una grande fiction nella quale il diverso è pericolo, danno. E ogni lotta al diverso è ragionevolezza, logica, perfino umanità.

Quando testate come il Giornale o la Verità (nomi un tantino altisonanti a giudicare poi dai risultati) tuonano parole dalle loro prime pagine, stanno costruendo una forma per la xenofobia. Permettono al razzismo non di esistere (non lo hanno inventato loro) ma di continuare a esistere. Proprio perché gli danno una forma, un vocabolario, una logica.

Anche il bene chiede un vocabolario di bene, pragmatismo benefico.

Derubrichiamo la cosa a “sdoganamento”, ma è ben di più: è l’unico modo nel quale la xenofobia diventa concreta.

Quando il leader di un partito come la Lega scrive sui social e parla nei comizi, dà forma alla xenofobia. Ossia permette al razzismo di continuare a esistere e anzi ne fa un vanto, una fonte personale di potere e denaro, una medaglia di ignoranza e arroganza. Accompagnato da molti, e tra questi moltissimi politici locali, che (per effetto gregge) hanno ormai sospeso il discrimine tra fiction e realtà, odio e umanità, politica della casta dell’odio e politica al servizio della popolazione.

Nella storia della democrazia italiana del secondo dopoguerra, non era ancora accaduto.

Ma anche il bene funziona così. Anche il bene chiede una forma. Anche il bene chiede un vocabolario di bene, pragmatismo benefico. Cultura contro l’ignoranza non è uno slogan facile: è il nodo della faccenda. E la cultura è anzitutto fatica, non è faccenda da radical chic: il bene chiede quella fatica, e ne chiede più del male.

Più di tutto, più dell’odio, il bene chiede realtà, verità. La realtà che conosciamo e quella che ancora vogliamo approfondire, la verità di chi si documenta, di chi non si arrende.

Dare una forma al bene: è la cosa più difficile e moderna che ci chiederà il tempo che viene.