La parola vacca, la parola fascismo

(postilla al 25 di aprile)

Ammetto subito una probabile critica: tra tutti i problemi, questo non è il più urgente da risolvere. Lo so, grazie.

Ma vengo subito al punto. Ipotizziamo che un ciclista amatoriale, in uno dei suoi tour sulle colline e affrontando una ripida discesa a tutta velocità, dopo un tornante si trovi improvvisamente la strada sbarrata da una vacca e non riesca a frenare in tempo. Il ciclista si schianterà sulla vacca capitombolando poi a terra, probabilmente il bovino non si farà molto male mentre il povero ciclista amatoriale ne uscirà con vistose e dolorose sbucciature un po’ ovunque.

Ipotizziamo che la sera successiva il ciclista abbia appuntamento con altri ciclisti suoi amici per la tradizionale birretta del venerdì. Vedendolo arrivare ricoperto di cerotti, fasciature e mercurocromo, gli amici domanderanno cosa gli sia accaduto. E il ciclista si ritroverà a raccontare l’insolita avventura del giorno precedente.

Ipotizziamo che lo faccia così.

amici: Ma che ti sei fatto??
ciclista: Ho passato un momento di difficoltà, ma ora sto bene. Vivo in democrazia.
amici: È successo ieri?
ciclista: Nel passato, sì.
amici: Nel passato. Ok, ma cosa ti è capitato? Sei volato contro un muro?
ciclista: No. Ma oggi sto bene, viviamo in un mondo libero.
amici: Sicuramente. Siamo qui a berci la birretta. Ci hanno dato anche le patatine. Ma stai bene? Ti si è rotto un freno?
ciclista: Il ciclismo è libertà.
amici: Hai battuto la testa?
ciclista: Oggi in Italia si può fare ciclismo senza badare a chi sei e a quali maglie indossi. E mangiare le patatine al venerdì sera. Come ti pare.
amici: Ha battuto la testa.
ciclista: Penso.
amici: Ma ti è venuto contro qualcuno? Sei stato in ospedale?
ciclista: Persone coraggiose mi hanno soccorso.
amici: È arrivata l’ambulanza?
ciclista: Eroi di ieri, da non dimenticare. Hanno valori che insegnano tanto anche a noi oggi.
amici: Ti sei scontrato con qualche animale?
ciclista: Forse.
amici: Dai. Quale?
ciclista: Era grosso.
amici: Tipo un cinghiale?
ciclista: Screziato.
amici: Un cinghiale screziato?
ciclista: No. Con le corna.
amici: Un cinghiale con le corna? Forse un cerbiatto?
ciclista: Sovrappeso. Con le corna più grosse.
amici: Un cervo obeso?
ciclista: Occorre pacificazione. Riconciliazione nazionale.
amici (sfilando con garbo la birra dalle mani del ciclista): Ti portiamo a casa noi stasera.

Ieri sera, al termine della Festa della Liberazione, ho letto diversi discorsi ufficiali di sindaci, prefetti, studiosi. E ho pensato a un ciclista che finisce contro una vacca e racconta tutto senza pronunciare mai la parola decisiva, “vacca”.

Ieri sera ho letto discorsi, non scherzo, dove le parole “fascismo”, “razzismo”, “regime”, “Mussolini”, “nazismo”, “Resistenza”… non vengono mai pronunciate. Mai. Nemmeno come inciso. Nemmeno per sbaglio. Mai.

Si parla genericamente di libertà riconquistata, di democrazia, di crisi che provoca mutamenti… Tutte cose decontestualizzate che vanno bene oggi, andavano bene a metà Ottocento a Parigi e andranno bene nel 2300 a Los Angeles. Mai vengono nominate le parole decisive.

Quali siano i motivi, proprio non lo so. Ma me lo chiedo. Dimenticanza? Improbabile. È una scelta? Sarebbe nefasta e irresponsabile. Pudore? Paura di urtare la sensibilità così spiccata dei neofascisti e dei nostalgici del duce odierni? Equivoco sulla pacificazione nazionale, che spinge a evitare di guardare in faccia la realtà e nominare le cose col proprio nome? Un aperitivo troppo alcolico prima della cerimonia? Problemi psichiatrici?

Davvero non so. So solo che se ti scontri in bici contro un animale, racconterai la cosa con le parole giuste. Ma se ti scontri contro un regime ci girerai intorno, perché forse forse quel regime un po’ ti è piaciuto.

Fascismo. Vacca. Fascismo. Vacca. Ci vuole tanto?