Primo Levi a Fahrenheit

Se vai in Olanda e compri una copia di “Het Achterhuis”, ossia il Diario di Anne Frank, troverai la quarta di copertina occupata da una frase di Primo Levi. Lui, Levi, tra gli individui che più hanno rappresentato la Shoah nel tempo è secondo solo ad Anne. Ma Anne in fondo vince facile: per tutta una serie di ragioni che è inutile elencare, l’adolescente in crescita ha avuto più appeal sulle masse del chimico adulto.
Ma pur discostandoci dalle classifiche di celebrità, che poco potrebbero importarci, sappiamo bene che Levi è una colonna internazionale. Di lucidità e profondità, di scrittura e di responsabilità. Con lui non si corre il rischio che si ha con Anne Frank, ossia quello di distinguere Shoah e scrittura fino a estraniare erroneamente la prima dalla seconda. Levi è scrittore. Levi è sopravvissuto. Lui stesso aveva approfondito in sé la distinzione. Levi apre sempre a una novità sul presente, e continuare a parlare di lui e a ragionare sulla sua opera non è solo sensatissimo. È perfino scontato.
Quando però alcuni giorni fa lo ha fatto Fahrenheit-Radio Tre, la bella e seguitissima trasmissione di libri e cultura, è accaduto che arrivassero messaggi molto duri e violenti contro la scelta di mandare in onda Levi e in generale “contro questi ebrei”. Loredana Lipperini ha scelto di leggerne alcuni in trasmissione.
Mentre accadeva tutto, caso ha voluto che mi trovassi proprio in un “Liceo Primo Levi”. Coincidenze? Chissà. Devo dire che ho provato tristezza. Ho provato rabbia. Ho provato repulsione per questa “gente” che con due clic prova a risolvere le proprie frustrazioni.
Ma non ho provato stupore. Più si studia la storia dell’antigiudaismo prima e dell’antisemitismo dopo (due categorie che preferisco spesso chiamare “ebreofobia”, per mettere al giusto posto coloro che provano sentimenti di quel genere) e più si comprende quanto sentimenti e rancori antiebraici vengano da ogni strato della popolazione. È semplice scrivere che tra i gerarchi nazisti vi fossero lettori che oggi definiremmo “forti”, persone che conoscevano molto di ciò che chiamiamo “cultura” (intere opere liriche a memoria, produzioni poetiche rilette fin nei dettagli…) ma senza aver mai compreso fino in fondo il senso della “cultura”, perlomeno come ce lo figuriamo adesso.
Sì, sono deluso anche io: gli ascoltatori di Fahrenheit te li immagini sempre tutti simili: curiosi, attenti, anche pignolini, sognatori, ottimi clienti di librerie sparse nel Belpaese, e come tali te li immagini tolleranti, dialoganti, pieni di umorismo e di autoironia. Ossia tutte le caratteristiche più distanti in assoluto dall’antisemitismo.
Credo, anzi ne sono certo, che sono ancora così quegli ascoltatori. Ma la chance diffusa che parole di odio e di morte vengano accolte nel discorso sociale è oggi altissima, e mi chiedo quanto sia essa il segno di una società che cambia o stia essa stessa cambiando una società, in un circolo perverso.
Qua, con Levi, siamo all’antisemitismo contro ciò che possiamo definire “ebreo inventato”. Ossia l’odio contro chi non si conosce, né si riconoscerebbe come ebreo, ma come ebreo viene identificato e dunque, come tale, rinnegato e violentato.
L’ebreofobico è un truffato mentale. La sua stupidità non è solo quella di avere inclinazioni razziste, ma di inclinare il proprio odio senza conoscerne il motivo. Di fatto avallando un comportamento che pare sempre più diffuso senza capirne le origini, il senso e le prospettive. Soprattutto, dando spesso potere a qualcuno più scaltro che da quell’odio trae potere, riconoscimento sociale, denaro. E lì la truffa è davvero compiuta.
“Parlate di cultura e non fate politica” è uno dei commenti più lampanti indirizzati in radio dall’ebreofobico, che non s’accorge lui stesso di fare politica in modo becero proprio perché dimentico della cultura.
Bene ha fatto Loredana Lipperini a leggere in trasmissione quei messaggi: essi esistono diffusamente, e lasciarsi contaminare è certamente una delle grandezze e una delle forze di Fahrenheit. Di contro, è la debolezza più forte di ogni razzista del globo.
Fahrenheit, siamo con te. Ma queste righe non sono una virtuale pacca sulla spalla, di cui Loredana non ha certo bisogno, ma l’idea che tra gli ascoltatori qualsiasi dibattito ha senso. Qualsiasi commistione ha diritto. E siamo pronti ad ascoltare tutti.
Ma questi frustrati spregevoli magari no. Per favore, non meritano di essere mandati in onda per due volte. Una può bastare e forse avanzare. Meritano invece di essere mandati altrove, quello sì. E tutti i giorni.