Le vittime di ieri e di oggi

C’è un legame tra il destino degli ebrei di ieri e il destino dei migranti oggi? C’è qualcosa che permette a noi di dire con sicurezza “sono la stessa cosa, non permettiamo che la storia si ripeta”?
Credo di no. Sistemare in due caselle vicine del nostro cuore la Shoah e i morti nel Mediterraneo serve solo a consolarci. A dirci che riusciamo ancora a provare qualcosa, una specie di empatia per il presente, frutto della conoscenza del passato. È un pensiero utile soltanto a noi e ai nostri sonni sereni.
Le vittime sono tutte diverse. La vittima è sempre una persona con un nome, una storia, un corpo. Non è lontanamente assimilabile nemmeno alle vittime che le somigliano di più, quelle sue contemporanee e conterranee.
Dire che gli ebrei di ieri sono i migranti di oggi è una frase che umanamente posso condividere, ma che in fondo toglie dignità e unicità sia agli ebrei di ieri che ai migranti di oggi.
Il dolore è sempre unico, la sofferenza è sempre personale. Le avversità illuminano le diversità.
I migranti di oggi vanno salvati, aiutati, accolti perché esseri umani, individui unici, non perché somigliano a qualcun altro a cui umanamente siamo più legati. Lo sforzo di salvarli non deve venire dall’idea un po’ banale “se fossero gli ebrei di ieri, se fossero i pellerossa di ieri l’altro, se fossero gli italiani emigrati nel Novecento”… Ma dall’idea pragmatica che sono esseri umani nati nel posto sbagliato al momento sbagliato. Sono la storia e la geografia a portarli qui.
Chi non comprende l’accoglienza non ha il problema di essere ignorante in storia, e in particolare in storia della Shoah. Ma di avere in sé ignoranza dell’umanità.