Un alveare da spostare e la morte di Falcone

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Vent’anni fa avevo diciassette anni. Il 23 maggio era un sabato, ero a Piacenza non lontano dalla chiesa di Santa Maria di Campagna e stavo preparando la zona per un laboratorio da condurre con un carissimo amico, Stefano Bertuzzi, che vive in America da un po’ e fa un mestiere bellissimo. Dovevano arrivare i ragazzi di lì a poco. Molti, moltissimi ragazzi, e noi avevamo fretta ed entusiasmo di finire, preparare, sistemare ogni cosa perché tutto funzionasse a dovere. Ma una rete verde separava la nostra zona da un campetto da calcio lì accanto, e ci accorgemmo con preoccupazione che attaccato alla rete c’era un alveare. Proprio a due passi dal luogo dove dovevano lavorare e disegnare i ragazzi. L’alveare era bello grande e molto attivo.

Cosa si fa, cosa non si fa, facciamo passare la voce alla parrocchia e la voce arriva alla persona giusta. Vediamo spuntare all’orizzonte un frate in bicicletta e nel cestino sopra la ruota posteriore aveva una scatola di legno. Si fermò, estrasse da una borsina un barattolo di miele e un pennello e si mise a dare pennellate leggere all’alveare, poi con più insistenza si mise a pennellare di più, e a staccare alcune parti, cellette, pareti. Scavò, e scavò col pennello fino ad arrivare all’ape regina, la sistemò delicatamente sul pennello e con un gesto veloce la mise a dimora nella scatola di legno, che aveva un buco rotondo nella parte frontale. Poi si staccò dall’alveare e si mise vicino a noi soddisfatto.

 

L’alveare calava di dimensione sulla rete e aumentava la dimensione del nuovo alveare, identico nella forma, dentro la scatola.

Tutto qui? Pensai. Ma lo spettacolo doveva ancora cominciare. Le api, private di riferimenti, smontarono letteralmente l’alveare e freneticamente iniziarono a spostare i pezzi, le pareti di cera e tutto quanto serviva dentro la scatola di legno, nuovo domicilio della loro regina. Ci misero pochi minuti. L’alveare calava di dimensione sulla rete e aumentava la dimensione del nuovo alveare, identico nella forma, dentro la scatola. Centinaia di api lavoravano insieme. Quando anche l’ultima ape ebbe compiuto il proprio dovere e si fu sistemata nella scatola, il frate si alzò, chiuse il buco rotondo, salì sulla bicicletta e se ne andò via salutandoci con la mano.

Eravamo senza parole: la rete era perfettamente pulita, e di api nemmeno l’ombra. Il laboratorio poteva incominciare.

Arrivato a casa nel tardo pomeriggio, ascoltai la notizia dell’attentato a Giovanni Falcone. E pensai a quell’ape regina, a come è strano spostare una persona e farla seguire da mille, centomila altre. A come le idee non abbiano casa, ma diventino casa loro stesse. A vent’anni di distanza ricordo quel giorno con amarezza. E nella mia mente non c’è nulla che sappia di miele.