Papaveri

Papavero

Non avrei mai pensato di essere felice vedendo tutte queste bandiere tricolori. Le ho sempre viste appese per il calcio e per la politica, al limite, tanto da diventare sospettoso. Invece, oggi, bello. Anche solo perché mi son chiesto cosa è per me l’Italia, e non mi sono risposto. Ho visto prima Città del Guatemala di Firenze. Tanto è lì, mica si sposta. E in tre ore di treno ci si arriverà anche quando saremo vecchi. Non ho mai visto Palermo ma ho visto Marrakech e Istanbul. Ad Assisi non torno da vent’anni, però sono tornato tre volte a Parigi. Ho passato più giorni a Praga, a Berlino e a Madrid che a Roma. Ho sempre pensato che la mia terra fosse un buon posto per partire. Oggi penso sia anche un bel posto dove tornare. È la terra dei miei amici, è la terra dove confidarmi nella mia lingua, è la terra che mi va di pensare accogliente, perché non è mia.

 

È la terra degli scrittori che mi piacciono, ma anche di Piero della Francesca, di Coppi, di santa Chiara.

Sono nato qui, ho sempre abitato qui. Ma in fondo ha accolto anche me, no? È la terra di Buzzati e di Parise, e quei due non sono solo libri sui miei scaffali. È la terra di Manganelli e di Bassani, di Bertolucci (Attilio, che quest’anno compirebbe cent’anni), di Rodari. È la terra degli scrittori che mi piacciono, ma anche di Piero della Francesca, di Coppi, di santa Chiara. È la terra dei miei amici e dei miei nemici, degli sconosciuti, è la terra mia, che non so cucinare la pizza, suonare il mandolino, non so nuotare, non ho i riccioli neri o il saio e un tempo andavo in bici da corsa, ma piano. L’Italia è quel campo di papaveri che si vede dalla strada che mi riporta a casa. Ritorna tutte le estati, forse da centocinquant’anni: ricordi rossi e verdi, fragili, se c’è il sole belli.